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      Le latrine sono indecenze primitive. Mi sono messo con la faccia alla ferriata della prima finestra e sono stato lì per recere. Sotto, nel cortile, è un mastellone nascosto da un murello a curva, che lascia venir su una puzza velenosa. È il mastellone dei condannati addetti ai lavori domestici. Il direttore di questa casa di pena deve avere l'olfatto molto ottuso. In tutto il penitenziario non c'è una latrina. Ciascuno fa i suoi bisogni come in un bosco. Peggio che in un bosco. Perché qui non potete alzarvi e andarvene via. Qui vi si lascia il mastellone che riceve il materiale di tutta la camerata tutto il giorno e tutta la notte. Non lo vuotano che alla mattina e nel pomeriggio. Noi, per fortuna, non siamo che in sette. Immaginatevi il fetore costante di una camerata di settanta o ottanta individui! C'è però un guaio anche nella nostra. In alto alla parete sono due finestrucole che comunicano con una camerata piena di reclusi. Di notte e di giorno riceviamo la loro atmosfera appestata e siamo condannati a sentirli trullare come maiali!
      Non è la prima volta che mangio la pagnotta, ma era un pezzo che non la sbocconcellavo. Me la hanno portata e mi sono ricordato degli ultimi tozzi di pane bianco che ho dato al recluso che ci porta il barile dell'acqua. Come sarebbero buoni, adesso! In un reclusorio non mi aspetto il pane di fantasia. Ma certamente mi aspetterei un pane migliore di questo. I cavalli ne mangiano del più buono. Le nostre sono pagnotte di mollica ammassicciata. Non è la mollica pastosa, duttile, allungabile, come quella del pane dei signori.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302