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      Tu leggi, ed entrano i battitori a scomodarti e a rintronarti le orecchie. Tu leggi, e suona la campana della distribuzione della minestra e del pane. Tu leggi... Credetelo, in una camerata perdete l'illusione di potervi sommergere in un libro per ritornare alla vita rifocillato di qualche cosa.
      Col permesso di scrivere, il nostro tempo penale si accumulava e si accorciava rapidamente. Qualche volta si avrebbe voluto che la giornata di diciassette ore fosse più lunga, per avere modo di prolungare la gioia del lavoro. C'era tra noi la gara degli operai a cottimo. Ci si alzava e ciascuno andava al proprio posto. Chiesi e Federici avevano un tavolo nello spazio in fondo, a fianco della finestra. Il primo scriveva dalla mattina alla sera, senza mai smettere che all'ora dei pasti o quando aveva bisogno di stiracchiarsi le braccia, appendendosi al bastone più alto dell'inferriata. Senza i libri necessari per un'opera descrittiva, o storica, o politica, egli si era votato interamente al romanzo - un lavoro, da quello che vedevo, che non gli costava che la fatica manuale. Non è mai a secco né di idee né di scene. Dotato di un apparecchio digestivo che non gli annoia il cervello, e arciricco di vocaboli, egli poteva prendere la penna ad ogni minuto, digiuno o col boccone in bocca, quando pioveva a diluvio e quando il sole si riversava nella nostra camerata come un'allegria. Alla mattina riprendeva il filo del racconto senza neppure degnarsi di leggere l'ultima frase e, dopo la colazione, il passeggio e il pranzo, ricominciava come se non vi fosse stata interruzione.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Federici