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      Il Sue si popolava il tavolo, sul quale scriveva, di pupazzi per tenere a mente i personaggi che gli nascevano a mano a mano che entrava nella intimità del romanzo. Gustavo Chiesi ha potuto completare Il Corpo di Ballo - un romanzo d'ambiente che racchiude tutta la popolazione del palcoscenico della Scala - senza sciupare più di alcuni nomi scritti sul cartone dei fogli che produceva. Il suo modo di composizione è dei più semplici. Incomincia la prima riga e tira via senza mai voltarsi indietro, cioè senza mai dare un'occhiata alle cartelle che la sua penna ha ammonticchiato. Non cancella che di rado, una volta o due alla settimana. Non potendo leggere il suo manoscritto per la sua calligrafia illeggibile, non lavora di lima che sulle bozze. Ma è difficile ch'egli si permetta di alterare una frase. Sul suo stampone non vedete ai margini che poche correzioni o dei segni che paiono lasciati giù da una mosca che lo abbia percorso con le zampe umide d'inchiostro. Perché la frase gli esce limpida, corretta e brunita, come da una officina. In pochi mesi ha scritto tre romanzi, letto parecchi volumi e mantenuta una corrispondenza abbastanza voluminosa.
      Il secondo, cioè Federici, si alzava sempre prima di ogni altro, un po' perché amava il pediluvio quotidiano, e un po' perché gli piaceva diguazzare nel catino più lungamente degli altri. Iniziava i suoi lavori con una spanciata di verbi inglesi, che egli si trangugiava tranquillamente, tra un passo e l'altro, fatti colla leggerezza e la mollezza della gallina che non disturba.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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