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      Leggeva romanzi, filosofia, storia e tutto ciò che di buono gli capitava tra le mani. In musica mi parve più che un orecchiante o un buongustaio. Canticchiava sovente le arie popolari o più conosciute delle opere moderne - sapeva dei pezzi di Wagner come e assai più del Chiesi che aveva propalato e difeso il maestro di musica dell'avvenire con uno studio, e correggeva le voci stonate degli altri che volevano imitarlo.
      Don Davide incominciava dopo la messa. Prima della messa passeggiava impaziente. Se la guardia, che doveva accompagnarlo nella cappelletta, ch'egli aveva l'audacia di paragonare a un'oasi nei claustri del dolore, tardava un po', diventava nervoso. Anche noi, il mattino, non appena in piedi, sentivamo un bisogno immenso di uscire da uno stanzone dal quale l'afa se ne andava assai lentamente. Per il 2557 un minuto diventava un secolo. Percorreva la camerata a passi lunghi, con le mani sul dorso, sotto la giacca, con la faccia torva.
      Lo si chiamava e si fingeva di credere ch'egli andasse a compiere i suoi uffici divini fuori del reclusorio.
      - Don Davide, fate il piacere di comperarmi trenta centesimi di sigarette virginia.
      - Don Davide, se vedete il pollivendolo, mandateci a casa un'anitra, sgrassata, come quella della settimana scorsa.
      - Don Davide, non dimenticate di passare dall'oste che siamo senza vino.
      - Don Davide, se trovate del pesce fresco, mandatene a casa una padellata.
      Rientrava ilare e pieno di scuse. Ci diceva che il pescivendolo era alla spiaggia, che il tabaccaio era andato alla dispensa e che il pollivendolo non veniva in paese che tre volte la settimana.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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