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      La tendenza sentita negli scritti di don Davide è la mestizia o piuttosto l'emozione.
      Le tre mila lettere ch'egli ha scritto durante la sua prigionia - lettere che potrebbero formare, per il pubblico cattolico, un epistolario interessantissimo - ne sono un documento. Sono in esse la sua bontà infinita, lo spandimento, della sua anima mal rassegnata a stare in prigione, l'affezione intensa per la gente ch'egli ama e che lo ama, il perdono incommensurato per tutti gli avversari pentiti che gli hanno tribolata l'esistenza a 52 anni, proprio quando, diceva lui, si ha bisogno di un po' di vita buona.
      In prigione non ha mai avuto rimpianti. Egli è sempre stato orgoglioso del suo passato. Non ha mai avuto che parole d'amore per la sua penna che l'ha mandato "tra i ferri anziché adattarsi a mentire e adulare", come non ha avuto che trasporti per il suo Osservatore Cattolico "divenutogli più che mai prezioso, ora che gli ha procurato il carcere, e dato occasione di soffrire per la causa che difende e dimostrare che seriamente anche in faccia alla morte, la difende e la difenderà sempre".
      Costantino Lazzari consolava i suoi ozii forzati nel silenzio, nella lettura, nel disegno. Taceva per delle ore, leggeva volumi ponderosi senza sbadigliare, rileggeva i Promessi Sposi con piacere, la Vita di Benvenuto Cellini direi quasi con entusiasmo e il Sant'Ambrogio di Romussi, superbamente illustrato, con ammirazione, e disegnava, disegnava sempre. Disegnava galeotti, secondini, reclusi, frontoni del reclusorio, compagni di camerata.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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