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      Per me lo confesso. Io non amo che la salute - perchè la salute è le grandezza dell'anima e la robustezza del corpo. E anche perchè io amo, dove è il marciume, essere preceduto dall'inaffiatoio e dalla scopa.
     
     
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      Dalla parte opposta, altre dodici stanze e di conseguenza altre dodici famiglie - delle quali dirsi come al solito, la verità cruda - perchè a me preme di dare un documento di ciò che ho veduto, provato e sentito - vivendo della vita della plebe, più povera e più cretina di Milano.
      Comincierò dunque dal classificarle per mestieri: tre maritate, lavandaie di colore; due tessitrici, una solettista infaticabile - quattro, al servizio di non so quanti padroni; - poichè desse appartengono alle così dette "donn de gross". Vale a dire che alla mattina vanno a dare una mano alla camera e al pitale dell'impiegato a mille e due; a mezzogiorno corrono nelle case dalla gente per bene ad attingere sette od otto secchi d'acqua - a portar giù dalla legnaia le fascine, a dar di frego al pavimento - a lavar piatti, ecc.; - a sera in qualche altro sito, - specialmente nelle osterie di seconda classe - a pulire cazzeruole, padelle - terraglie e altro.
      Uomini: due vedovi uno con figli, l'altro no; il primo ciabattino per conto proprio; il secondo portiere provvisorio municipale - impiego che lo faceva passare per il nababbo della casa e gli permetteva il lusso di portare delle scarpe che lo annunciavano dal marciapiedi del corso. Uno imbianchino a tempo perduto.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





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