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      Batteva, fremendo, sui vetri, sulle tegole, sulle muraglie e si intuiva la strage che faceva sulle viti.
      Poveri noi, si diceva. Addio al buon vino che si doveva bere; addio all'uva che doveva pagarci del frumentone gelato nelle viscere della terra."
      Ero lì colla moglie che filava, i bambini tra le gambe, a meditare se Iddio era sì o no giusto quando assaliva e denudava i campi arati e seminati con tanta fatica. Mi non ho avuto il coraggio di ribellarmivi. Quando si è poveri si ha paura di una disgrazia maggiore. Di fuori i diaccioli, turbinati, si avventavano su questa o quello casa o s'incanalavano nelle grondaie, farneticando di collera. Pin, pun, pan! Pon, pin, pan! Che tripudio celeste, mio ottimo amico! Preso dal convulso, andai ad appoggiare i gomiti sui mattoni di quella finestrucola. Non si discerneva che un fumo bianco attraversato dalle palle di ghiaccio che inveivano sugli ultimi pampini e sui moroni sfrondati. Basta, Signore, basta! urlai, congiungendo involontariamente le mani. La tempesta triplicò i suoi furori. Io vedevo in mezzo alla battaglia, gli olmi che piegavano le cime a terra e gli alti pioppi che si raddrizzavano perdendo rami. Ascolta, mio buon Giorgio. Tu sai che dietro questa casa è il campanile, nevvero? Raccogli il tuo coraggio. Sentii dei tocchi lenti, soffocati dalle risate della tempesta. Erano i prodromi di un'anima che passava. La buona donna, la povera vecchia, la tua adorata mamma... moriva.
      Da quando presi moglie io non posi più piede in casa tua.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





Iddio Giorgio