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      Sai, Ortensia mi aveva amato e portava sempre il lutto nel cuore.
      Ma vinsi la ritrosia. Di tettoia in tettoia, mi trovai al tuo uscio, su cui tante volte io e lei ci siamo scambiati con rincrescimento l'arrivederci e l'eterna premessa. Colle dita sul saliscendi ristetti. Mi si affacciavano delle memorie, delle tristi ricordanze, che so io? Sarei tornato indietro se il temporale non si fosse convertito in una pioggia dirotta.
      La stanza metteva i brividi. Non c'era più nulla. La miseria sola, colle occhiaie orribilmente vuote, la dentiera spaventevolmente scarna, sedeva signora sul focolare.
      Tua sorella, inginocchiata, la fronte sul giaciglio della moribonda, singhiozzava. Mi prosternai al capezzale colla gola grossa. Povera vecchia! Fiatava con dei rantoli che rompevano il cuore. Sulla sua faccia, non si vedeva più che una massa carnosa. La linfa che le aveva arrotondato il ventre, le era andata ratta a ingrossarle lo guancie. Mi contenni, ruminando mentalmente l'orazione pei morti. Quanta consolazione si trova ad abbandonarsi ai voleri del Signore! Pietro straziava col din! den! dan! Rintocchi funebri, che dovevano far morire più in fretta quella povera madre. Aprì gli occhi già velati dalla morte e li richiuse. La baciai, bagnandola delle mie lagrime. Ortensia! Ortensia! A quel nome la bocca della morente fece un movimento. Giorgio, fu l'ultimo. Essa moriva senza articolare una parola, senza forse perdonarmi, senza dire un addio alla sua Ortensia, senza pronunciare il tuo nome, lei che non lasciava passar giorno senza ricordarselo.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





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