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      Risquillate, o gioconde voci, nel mio orecchio. Io ho bisogno che questa notte sepolcrale sia rintuonata - temporalizzata. Ma voi continuate ad allontanarvi e l'eco della vostra canzone mi giunge come una mestizia - come il finale di un singhiozzo. Ma di che cosa ho paura? Non lo so. Ma quest'ombra mi pesa sull'anima e mi attristisce. Giovanotti, su su, cantate, allegratemi, rompetemi questo silenzio che m'uccide, fugatemi via questo cruccio dal cuore.
     
     
     *

      * *
     
      Sono disceso nel girone di passeggio. Un cortiluccio che vorrebbe arieggiare il giardino, cinto da una muraglia e da due deretani di case. A sinistra è una scala a ringhiera di ferro, che mette al compartimento femminino. Il resto è un desiderio. Delle panche di granito ruvido che punge come uno scoglio, cinque o sei moroni tisici che cacciano svogliatamente le corna o restano eternamente svettati ai tronchi infecondi e delle grosse zucche gialle, incappellate dal fogliame smorto che s'ingarbuglia sull'angolo della tettoia.
     
     
     *

      * *
     
      Una quarantina di convalescenti sono qui pigiati, a capannelli, in terra, sulle panchine o sdraiati lungo i muri, la pancia all'ombria. Faccie che stringono la milza. Terree, olivastre, azzurrate, calcinate, butterate, scarne, rugose, pezzate dai patimenti. Vecchi e giovani si confondono per quell'aria vecchiona che li imbozzachisce. Vicini a loro, davanti a loro, in mezzo a loro, spira un malessere che strazia. O poverelli, o meschini, o tribolati, o lazzari, o piagati, perchè vi ostinate a rimanere sur una terra ingrata - una terra che non dà per voi frutto alcuno?


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237