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      I pivioni, come li chiamavamo noi girovaghi, ascoltata l'arringa che non capivano, davanti alla tolla di quell'uomo che dopo tutto aveva un certo ingegnaccio per esercitare la professione di quei ciarlatani ch'egli disonorava; davanti a quegli ordigni, a quegli avvisi, infiammati dall'alee alee e dal rullio incalzante, affrettato del moro, cadevano come vespe sullo zuccaro. Si urtavano, si davano gomitate alzando una mano per pagare e l'altra per ghermire, come quando sfiancavano per arrivare alla Croce del gran Cristo miracoloso. Il Cristo che sanava gli storpi, guariva i dannati, fugava dal corpo lo spirito maligno, benediva la carta per bigatti, dava a tutti, nella sua immobilità, sorrisi, speranze, gioie, compiacenze. - Oh chi non ha vedute queste turbe genuflettersi, sbracciare, piangere, invocare, urlare nell'orgia religiosa del giovedì santo, non ha veduto niente.
     
     
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      Fra un'arringa e l'altra, facevo delle scappatine in chiesa per vedere quel tragico fanatismo religioso che rammentava i tempi pestiferi delle streghe e di frà Bernardo Rategno. La folla, rapita in un'estasi ascetica, cadeva ginocchioni, davanti agli altari tapezzati di medaglie, di amuleti, di ricami, di gruccie, di bastoni, attraverso ai cinti erniarî, ai gambali, ai pettorali, ai lacci, al resto del bagaglio riparatore delle sventure umane; delirava davanti agli innumerevoli quadretti miracolosi, sgorbi di miracoli compiuti, colle loro date, il nome dei salvati e magari magari colle loro brave famiglie proterve al suolo o gli occhi stupefatti al cielo.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





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