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      Non mancava il grottesco. A intervalli, si sentiva un grido, un alto grido che sgusciava per gli ambulacri, strisciava intorno alle colonne, percoteva le pareti e si frangeva su nel cavo della cupola. Il movimento evolutivo che andava senza quasi muoversi, faceva un alt di sospensione. Le teste si rovesciavano dalla parte d'onde era sbucato tanta disperazione. Chi era? Un'indemoniata, un'infelice invasa dallo spirito infernale che si dibatteva negli spasimi, che lottava corpo a corpo, urlando, graffiandosi, strappandosi i capelli, lacerandosi le vesti, cacciando, innorridita, il ceffo del demonio che la poveretta vedeva circondato dai satelliti, tutto pieno di fuoco e di sberleffi. Che scena! che scena! Quattro o cinque uomini di "buona volontą" uscivano dalla sagrestia, la prendevano per le membra spiritate, la innalzavano sopra quelle teste sospese spingendosi attraverso quelle fitte di carne pigiata e la portavano sussultante alla croce del Redentore. Miracolo! miracolo! Appena tocca da quel talismano, la tapina rinsaviva. Apriva gli occhi, ricuperava a poco a poco i sensi e si genufletteva sudata, in un pianto che provocava il singulto e i fedeli si protendevano al suolo, si battevano il petto e recitavano febbricitanti le pił calde preghiere.
     
     
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      L'osteria dei girovaghi era quella del "Coghetto" in via dell'ospedale. Un luogo ove si potevano fare i comodi della borsa senz'arrossire. Se la giornata era stata loffia, si mangiava una tazzina di galba, si beveva un "mezzino" de scabbi (vino), mandando moccoli contra ai ghirla (paesani), e invece di andare nel letto che costava dieci soldi, si andava in cascina con tre.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





Redentore