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      Raccontava le sue avventure, le sue peripezie, i suoi amori, i suoi disinganni, infiorando la parlantina con motti romanzeschi imparati nel Marco Visconti del Grossi. La conclusione era la passioncella di cuore, rimasta allo stato platonico. Al mercato di Quinzano, aveva veduto una fanciulla dilagata di salute. Alta, flessuosa, con una bracciata di capelli crespi sciolti per la schiena e due fianchi che tremavano. La regalò di non so quanti breloques attaccati a nastri di velluto nero come i suoi occhi, solo per avere il piacere di contemplarla qualche minuto in più. "Quando me la vedevo, diceva lui, rorida di freschezza, annegata nella vigoria, il seno ansante e le labbra che mi schiudevano una risata di denti, le dicevo bruscamente: va!" Un lato del suo bel cuore era pur quello di ricordarsi di una sua vecchia sorella che viveva in via Quadron
      no, in un bugigattolo al quinto piano, a pedulare da mane a sera. "Giorgio, fammi due righe. Dille che sto bene e che le mando otto franchi. Tutto quello che posso." Mi stringeva la mano e mi pagava uno sigaro se gli mettevo assieme una lettera tenera. Certe frasi gli mungevano un lagrimone negli occhi. "Bravo Giorgio." È morto anche lui, povero padrone. Morto d'un colpo apoplettico. L'abbiamo seppellito un sabbato sera nel cimitero squallido di Crema. C'eravamo là tutti, noi girovaghi convenuti al mercato del venerdì. La cassa andava giù e le nostre mani tremulanti le buttavano sopra manate di terra. Nessuna pappolata, nessuna ipocrisia.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





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