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      Tutto per la fabbrica dell'appetito! Si mostrano generosi." Qualche volta l'ultimo giuoco era il sacco dell'ovo. I paesani scorpacciavano. Co-co-dè, co-co-dè. E uno! Co-co-dè, co-co-dè. E due! Ma se era in vena e voleva farli sganasciare, faceva quello delle piscia, Correva attorno coll'imbuto in una mano e un lungo coltello a triangolo rientrante nell'altra, fingendo a ogni passo di voler bucare qualche ventre paesano. "Non vi faccio male. Un piccolo foro." Ma i designati scappavano e lasciavano il mio alla merce del gioco. Si faceva su le maniche, agitava il coltello che scintillava e me lo piantava con un là nella pancia. Poscia mi applicava immediatamente l'imbuto e la piscia si rompeva in faccia agli spettatori che era una delizia. E quando si vendeva la merce all'incanto? Cominciavamo dal rovesciarla sulla tela in terra, io dicendo a ogni minuto: Lassa che la vaga! l'è tutta robba del diavol! Lui emettendo qualche versaccio: Robba robada! Alee fiœuij! Fatto il treppo (pubblico), il mio padrone saliva sulla scranna con una fazzolettata di chincaglieria. Coltelli dal manico a specchio, pettini, pettenine, cucchiai, scatole di tabacco, portamonete, cartine d'aghi, spilli, spilloni e andate dicendo. "Cosa ch'a val sa? Dui mute. A l'è tropp car? Una muta. A l'è tropp car? Meza muta, 'n mutin, terdes centesim. A l'è tropp car? Dui sold. No, ch'a l'è tropp car ancora. I voui davla par nient. Piè, la mia bona gent. Un sold." Spacciavamo così dodici o tredici "articoli" infiammando i "gorguani.


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Alla conquista del pane
di Paolo Valera
Editore Cozzi Milano
1882 pagine 237

   





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