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      Si è squarciata la gola, tra le dieci e le dieci e mezzo antimeridiane, a certa Ida Carcano, la figliastra dell'orefice al numero 22, mentre si trovava sola in bottega. È stato un audace, un enorme delitto. Guai se fosse stato commesso in Palermo! I giornalisti avrebbero ripreso la mafia per il collo e l'avrebbero annegata nel loro inchiostro velenoso. È stato commesso in Milano, nella capitale morale d'Italia, e non si è tirata in ballo la solita fratellanza dei delinquenti. Gli assassini erano scappati e non si parlò più che della assassinata, della povera Ida che venne accompagnata al cimitero dalla pietà morbosa di 40.000 persone.
      Una popolazione forte, credetelo, non avrebbe sciupato tante lagrime e tanto tempo per un fatto di cronaca. Il colpo era stato crudele, lo si doveva registrare e passare oltre. Noi, siciliani, non ci siamo tuttavia soffermati a biasimare o ad accusare. Non abbiamo chiamato i milanesi una massa di assassini. Ci siamo contentati di leggere la notizia con dei brividi, perché ciò è umano. Così si dovrebbe fare sul continente, quando al di qua dello stretto di Messina siamo colpiti da qualche sventura comune a tutti i popoli".
      Luraschi prese la tazza e la vuotò di un fiato. Lui pensava che il marchese ragionava bene, come avvocato. L'avvocato non ha scelta. Egli è obbligato dalla professione a difendere Boggia o Verseni. Anzi, l'avvocato, di solito, dà la preferenza alla causa più mostruosa e la sostiene con argomentazioni che più di una volta inducono i giurati ad assolvere dei veri malviventi pericolosi.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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