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      A proposito, mi sono dimenticato i sigari. Io fumo come un turco. Signor Ispettore, buon giorno, ho tempo di comperarmeli? Ci sono ancora dieci minuti? Allora ho tempo anche di trangugiarmi il caffè. Lo prendo sempre fuori perché ho l'abitudine di leggere i giornali. L'avete già preso? Non importa. Potrete prendere qualche altra cosa. Adesso sto bene; quando si è al di là della quarantina tutte le abitudini diventano cose indispensabili. Una volta me ne infischiavo del caffè. Dei sigari, no. I sigari sono la poesia dell'uomo. Quando fumo produco della prosa leggibile e sovente delle istruttorie che potrebbero essere stampate. Salgo io per il primo. Non abbiate paura. Qua la mano. Addio, signor Ispettore. Grazie. State attento. Vedete i due uomini dietro la punta dell'altro treno? Sono Fontana e il suo compare che ci spiano".
      I due personaggi rimasero per un minuto senza parola. Ciascuno era compreso di essere sul teatro sanguinoso di una delle più scellerate tragedie di quest'ultimo quarto di secolo. E ciascuno, col pensiero nella tragedia mostruosa, si sentiva terrorizzato come in una tomba sotterranea.
      Prendete uno dei miei sigari
      .
      La voce del giudice istruttore gli fece l'effetto di una voce metallica. Se la sentì per le orecchie come un frastuono. Prese il sigaro, se lo lasciò accendere, e ricadde nel silenzio cupo, cogli occhi fissi sul divano, ove gli pareva che le macchie del sangue di Notarbartolo si allargassero e diventassero più scarlatte a ogni sussulto di treno. Per sottrarsi all'esagerazione ottica dovette passarsi e ripassarsi le mani nella capigliatura folta come per darle aria.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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