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      Bastava ricordarsi del dottore americano Neill e della signora Fiorenza Maybrick per non pensarci altro. Il primo era stato appeso alla fune del carnefice e l'altra consumava i giorni alla servitù penale senza speranza di ritornare alla vita.
      In mezzo a tanta letteratura criminale non trovava nulla. Gli si suggeriva il modo di andare in galera e questo era l'ultimo dei suoi pensieri. C'erano due o tre romanzieri francesi che buttavano gli assassinati nel fiume o nel mare. Ma i delinquenti di questa natura non erano più fortunati degli avvelenatori. I cadaveri ritornano a galla o vanno a finire su qualche spiaggia come documenti irrefutabili di una morte violenta. Il farmacista Fenayron, il quale aveva fatto uno studio speciale prima di calare nella Senna il suo allievo, non è riuscito a salvarsi dalla guigliottina.
      Non c'era dunque da scegliere. Il metodo migliore era ancora il suo. Era un metodo più razionale, più scientifico, più sicuro. Il nemico entrava e non ne usciva più, né vivo né morto. Il difficile era di trascinarvelo e di trascinarvelo a insaputa di tutti. Questa doveva essere la sua precauzione massima. Non avere testimoni. Una volta in casa lo avrebbe invitato di sopra, come se il salotto potesse essere all'ultimo piano, e nello stanzone dell'ultimo piano, coll'aiuto del complice, avrebbe compiuto il resto.
      La discussione della sua mente e la solitudine che lo circondava lo facevano sudare freddo. Si dava del pusillanime e si premeva la testa come per spegnerne l'incendio.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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