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      Il suo sistema nervoso non era più di ferro come una volta. Un nonnulla lo faceva trasalire. La poltrona mobile gli giocava tiri birboni. Girando su sé stessa, la sua ombra si prolungava sulla parete e assumeva le forme del fantasma. Notarbartolo continuava a nutrirgli il cervello. Non aveva mai capito così bene il delitto di Giuseppe Luciani come ora che soffriva di una persecuzione quasi identica. Il Notarbartolo di Luciani era la Capitale. La Capitale suggestionava i lettori, la Capitale lo minacciava di far sapere ch'egli era il fratello del Paino dell'Olmo, il ladro che gli aveva fornito i mezzi di frequentare la scuola; la Capitale gli distruggeva l'opinione pubblica ch'egli si era conquistata con la penna, con la eloquenza e con la bellezza del giovine d'ingegno e Luciani procombeva...
      No, non procombeva... Egli sapeva, come lui, preparare il delitto, ma non aveva neppur lui il coraggio di compierlo. Invece di procombere, affidava il coltello alla mano più sicura. Raffaele Sonzogno voleva ricacciare nel fango Giuseppe Luciani e Luciani gli ha fatto scontare l'audacia e l'insistenza a coltellate... Strasudava e si palpeggiava la fronte. A tavolino egli vedeva chiaramente gli errori che hanno mandato in galera Luciani. Prima di tutto egli occupava il posto sciagurato dell'amante. Gli amanti non dovrebbero mai ammazzare o far ammazzare i loro rivali. Perché non appena si sa del delitto, gli occhi della polizia e del pubblico sono su loro. Se proprio la loro sparizione fosse indispensabile, dovrebbero affidarne il compito alle loro mogli.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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