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      Il Bortolani non ha mai imparato l'arte difficilissima di Giovanni Mathison, il più grande falsificatore di banconote del secolo scorso. Riproduceva senza lasciar capire quale dei due fosse l'originale. L'imitazione sua era giunta a tale perfezione che senza la sua confessione i direttori della Banca d'Inghilterra non avrebbero mai creduto alla frode. Chiamiamo dunque Bortolani uno spenditore di biglietti falsi.
      La sua delazione è interessata. Egli non ha aperto bocca che a condizione di avere del denaro e un accorciamento di pena. Ma noi non siamo padroni di scegliere i testimoni. Li prendiamo come ci vengono: impantanati e spantanati. Ora noi potremo dire che il Bortolani è un tipaccio ignobile, ma non potremo negare che la sua deposizione sia stata di bronzo. Come avrebbe egli potuto sapere in prigione, nel saio del prigioniero delle carceri di S. Efrem di Napoli, che gli autori dell'assassinio di Notarbartolo si chiamino, aprite bene, amico, le orecchie, Giuseppe Fontana, Pancrazio Garufi e Giuseppe Carollo?
      Non c'era che una confidenza. E la confidenza non gli è stata fatta da un uomo di galera, da un uomo che in quell'istante si abbandonava alle recriminazioni e agli sfoghi perché il Fontana era stato assolto e lui condannato, ma da un uomo ingolfato nelle cose scellerate della cosca di Villabate.
      Sembra che questo paese vi faccia l'effetto di un bottone di fuoco alla nuca!"
      È più forte di me, temo. Parlandomi di questo paese di due mila e cinquecento abitanti è come se mi si parlasse di un'area nella quale si sono adunati due mila e cinquecento ergastolani al largo.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





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