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      Preferirei le sue sfuriate alla sua compassione! La sua religione non mi consola. Non capisco più la chiesa che mi considera una peccatrice e che non mi parla che dei miei falli e che non m'insinua che il sentimento della penitenza! E perché dovrei esserne pentita? Che cosa ho fatto di male? Ho creduto ad un uomo. Il parroco mi ha detto che non dovevo credergli che dopo la funzione del matrimonio. Ho fatto male, ne convengo. Ma perché una creda ci deve essere un altro che faccia credere. Il delitto è commesso dal secondo. Derelitta! Sarò condannata a vita! Meglio così, meglio sola che appaiata con un miserabile che vi metta alla porta coi paradossi della sua scelleraggine. Non ti accuso. Sei troppo vile perché il mio orgoglio sciupi dei sostantivi! Mentre avevo gli occhi pieni, egli mi paragonava il matrimonio alla più insulsa delle funzioni sociali e la verginità della fanciulla al giglio senza sangue, anemico come l'anima della vergine! Forse erano vere le cose che mi diceva col sarcasmo che accompagna tutte le sue parole. Ma in quel momento che avevo le lagrime in gola e che tutto il mio essere si sfasciava, mi facevano male, mi passavano nelle orecchie come punte di aghi. Sarei morta volentieri per conservare l'illusione di un uomo che idolatravo. Cento voci e cento m'inseguivano per distogliermi da un amore che io difendevo con la mia devozione, che io portavo in alto co' miei pensieri perché non naufragasse mai. E lui, nell'ultima sera, si dilettava a lavorarmi il cuore piagato con la punta del suo coltello e coi suoi motteggi antispirituali.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313