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      Invece di appendere la caldaia, si abbandonò sulla sedia, colla faccia sbiancata dalla paura, e colle braccia ciondoloni come un uomo affranto. Le grida fumose che uscivano da un grosso legno che le fiamme avevano mal spaccato, gli straziavano il cuore come se fosse stato lui in mezzo alle fiamme. Aveva sete, avrebbe bevuto un sorso di qualche cosa, magari di grappa, ma non sapeva staccarsi dalla scranna. Egli vi era come impiombato.
      Gesummaria, che cosa aveva mai fatto! C'era stato in mezzo a guai più gravi di questi, ma non aveva avuto l'agitazione di questa notte. E i carabinieri? Facce maledette che gli apparivano dappertutto. In letto, fuori del letto, in piedi, seduto, dinanzi al fuoco e sull'uscio. Era un presagio cattivo.
      Angela!
      Che cosa volete?
      Venite giù che non mi sento bene. Datemi una goccia di acquavite. Così, ecco che mi è passato. Avevo qualche cosa sullo stomaco. È come se mi fossi scaricato di una pietra. È buona una goccia d'acquavite, quando si sta male. Ah sì, adesso mi sento meglio. Volete che vi attacchi alla catena la caldaia? Lasciate fare che ho riavuto le mie forze
      .
      No, lasciate fare a chi tocca
      .
      Sull'uscio di casa col naso in aria e colle braccia imbracciate, gli veniva addosso la malinconia. Anche il cielo gli dava l'idea della maledizione. Si rarefaceva il velo cupo che lo copriva e rimaneva un immenso lastrone di latte azzurrato che snervava come in una calda giornata di estate.
      Il cielo luminoso è sempre stato di malaugurio. Toglie il coraggio agli uomini che devono lavorare di coltello.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313