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      È stato forse un male. Con un cagnaccio come il primo, non ci avrebbe fatto caso. Lo avrebbe lasciato andare in prigione senza il menomo sentimento. Andrea le era entrato in core. Lo ha sempre davanti agli occhi, vestito da condannato, quando piangeva senza dirle una parola, mentre erano divisi dal cancellone di ferro e passeggiava dietro loro una guardia con un mazzo di chiavi per sentire quello che dicevano. C'era da morire di dolore più che quando si mette nella cassa la propria madre. Andrea aveva tanti torti ma con lei è stato sempre buono e docile come un agnello. Sono i compagni che lo tirano a perdizione. Se lo avesse ascoltato non ci sarebbe in casa tanta tribolazione.
      Ohe, madre, vi aiuto?
      Non vedi che a momenti ho finito
      .
      La madre gli voleva bene perché si vuol sempre bene al primo figlio. Egli era il suo dolore di capo. Un disutilaccio che andava a zonzo con le mani in saccoccia e la pipa in bocca, se il suo secondo padre gli dava un pizzico di tabacco. Faceva il giardiniere e il suo mestiere lo sapeva, se avesse voluto lavorare. Preferiva andare in giro per la campagna come un uccellaccio in cerca di qualche cosa. A venticinque anni non sapeva ancora star in piedi colle sue braccia. Bisognava rattoppargli i vestiti per non lasciargli perdere i gomiti, le ginocchia, e il culo. Era tutto figlio di suo padre. Un infingardo che diceva più bugie che parole. Giurava che andava al lavoro e ritornava a casa a mani vuote. La madre le toccava tacere perché non voleva mettere Andrea contro la sua creatura.


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L'assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia
di Paolo Valera
pagine 313

   





Andrea