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      Le buche di lupo divennero fosse di morti. Gli uni sugli altri. Fra tutti gli accorsi al banchetto czarista ottomila vennero raccolti cadaveri. Non parliamo dei feriti. Lo Czar rimase senza emozione. Più di un milione di abitanti di Mosca si teneva la testa dalla disperazione. E lo Czar? Nè tremore nè pallore. Non se ne occupò. Saltò via il fattaccio. Nessun rincrescimento. Alla sera, come se nulla fosse avvenuto, partecipò alla festa da ballo data in suo onore dall'inviato speciale della Repubblica francese. Fu il sovrano che iniziò la danza.
      Durante i suoi ventitre anni di regno conservò la stessa freddezza per qualunque disastro nazionale e per qualunque tragedia che toccasse i suoi ministri o i suoi consiglieri o i suoi generali o ammiragli. Abbiamo sul tavolo un imperatore e dobbiamo documentare. È nota come la sua strafottenza obesa abbia provocata la guerra col Giappone. Il conte Jto era a Pietroburgo, inviato speciale del Mikado per evitare il conflitto. Lo Czar non si fece mai vedere. Non volle vederlo. Si faceva credere a caccia o assente, o con qualche imperatore o oppresso dal lavoro, o indisposto. I russi trepidavano e speravano in una conciliazione e lo Czar aveva già fatto telegrafare che se la marina giapponese avesse passato il 38° di latitudine nord, l'ammiraglio russo doveva considerare il fatto come una dichiarazione di guerra. Nella stessa sera lo Czar frigido andò al pranzo di gala con il telegramma in tasca che l'avvenimento era un fatto compiuto. La giornata del 19 gennaio 1904 era nei nervi dei sudditi.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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