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      Era tutto un troiaio. Era una mina che andava a urtare la nave imperiale per affondarla. Di più. Era un potente contributo alla storia della casa dinastica che doveva finire come è finita alla sepoltura.
      Grigori Rasputin al palazzo imperiale era sommo. Al dorso dello Czar egli dirigeva la Duma, frantumava gli avversari della casa imperiale, bandiva dalla Corte i gentiluomini, i cortigiani che non gli piacevano, sostituiva i ministri, metteva alla porta dell'impero chiunque nuocesse al suo arrivismo, alla sua ascensione. L'imperatrice era dominata dal "santo". Si appendeva alle sue labbra, non trovava requie che quando posava la testa sulle spalle del ciarlatano e godeva mezzo mondo a farsi portare a letto sulle sue poderose braccia. Sovente se lo trascinava nel letto nuziale e ve lo teneva fino all'aurora, fino alla stanchezza, fino all'esaurimento. La Duma strepitava. Moderati, cadetti, ottobristi, travaglisti hanno denunciato il carnaio imperiale. L'opinione pubblica era turbolenta. Soffiava nel palazzo della coppia criminale come una burrasca di collera. Lo Czar fustigato dalla tempesta era uscito dalla sua indifferenza e aveva pregato l'illustre faccendiere di ritornare alla sua Siberia fino a tempi migliori. L'imperatrice piangeva dirottamente. Si strappava i capelli come una rivendugliola dei mercati. Non voleva staccarsene. Lo Czar dovette essere sordo. Lo caricò di regali e lo fece partire. Rasputin conosceva il suo prestigio. Egli sapeva che in palazzo non si sarebbe potuto vivere senza la di lui presenza.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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