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      In un'altra parte del libro il monaco dissoluto che aveva conquistato e fatto strage delle donne di Corte e intorno la Corte, delibando, deflorando, stuprando, palpeggiando, gualcendo le carni delle giovani, delle maritate, delle divorziate e delle incontinenti, confessa la sua potenza politica.
      - Non immaginarti - diceva a Eliodoro - che sia facile parlare allo Czar e a sua moglie. No, è difficile. Talvolta si hanno le labbra gonfie di sangue e crespate. Essi mi consultano su tutto, sulla guerra e sulla Duma, sui ministri. Lo Czar e la Czarina non possono fare senza di me, quantunque sia loro penoso di udire le rimostranze di un contadino (mujik). Mi ascoltano. La "mamma" mi considera un "santo". Più che un santo: un grand'uomo. Una volta lo Czar dice questo e io dico quest'altro. Il rossore sale alle sue guance, trema di collera, ma ubbidisce. Egli non può alitare senza di me. Egli mi dice sempre: Grigori, vieni spesso a trovarci. Quando tu sei qui, noi siamo contenti, gioiosi, consolati. Vieni, non domandarmi però nulla. Tu sai che io ti voglio bene e che io sarò sempre pronto a fare ciò che tu vorrai, ma mi è talvolta difficile aderire ai tuoi desiderî, perchè tu domandi una cosa e i ministri un'altra, ed essi non t'amano, specialmente Stolypine.
      Il tesoro della Corte è a mia disposizione. Solo, l'imperatrice è un po' avara. Se le si domandano mille rubli essa non dice niente; li dà, ma se le ne chiedono dieci mila, per esempio, discute. Ella vuol sapere dove andrà a finire il denaro.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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