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      Grigori Rasputin aveva cinquant'anni. Di statura superiore alla media. La sera della sua fine vestiva un camiciotto celeste ricamato sulla camicia bianca. Calcava alti stivaloni di capretto. Teneva al collo una costosa catena d'oro. Capelli castani. Baffi e barba frateschi. Dentatura d'avorio. Viso e camicia chiazzati di sangue.
      Si crede fosse ubbriaco fradicio. Gli si sono trovati nello stomaco venti cucchiaiate di liquido bruno puzzante fortemente di alcool.
      L'assassinio del sudicione siberiano è passato per il regno come una bufera che spazzasse via l'antico regime pieno di ulceri e di cancri imperiali. L'odore della carogna pescata nel fiume ammorbava tutte le città attraversate dal turbine. Nasceva una gioia segreta. La morte del ciarlatano aveva l'importanza della morte del "piccolo padre" che aveva tentato di schiantare il dorsale alla Russia nuova. Il vento furioso si arrestava per i cervelli come per sloggiarvi l'antica paura dei giorni del despota. L'anima si consolava. La rivoluzione ruggiva. Non era più che a pochi passi. Campane, suonate a stormo. L'imperatore del terrore è morente. In tutte le città fuochi di gioia.
     
      Dalle esequie di Rasputin
      all'abdicazione dello Czar.
     
      La Czarina non poteva sciorinare la propria vergogna con più impudenza. Il marito stava perdendo la corona trecentenaria della dinastia e lei con la faccia foderata della prostituta non pensava che al ganzo. Pareva pazza. La si è trovata lunga e distesa sul pavimento degli appartamenti imperiali che si dibatteva con se stessa con gridi di donna male sgozzata.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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