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      Ohimč! Grandi frasi, parole reboanti, eloquenza tronfia e patriottica, minacce di schiacciare il nemico col ferro nel sangue.
      Alessandro Feodorowitc Kerenski era il solo che impersonava lo Stato. Miliukof, ministro degli Esteri, non era che un legalista, un progressista, un professore di cattedra, un deputato dell'antica Duma che aveva per programma "il Governo responsabile". Poco. Gli altri del Governo non erano che amanuensi. Lui ordinava, organizzava, concionava, correva dove maggiore era il pericolo a sedare, a infondere energia, a trasmettere coraggio, a promettere un futuro d'oro. Con lui la pena di morte dell'antico regime aveva cessato di funzionare. Il collo dei cittadini era divenuto sacro. La polizia - abbiettezza del passato, vituperio imperiale, creata dalla mente fosca che non produceva che delitti e disfatte - era nei gorghi della fogna. La Russia repubblicana lo applaude. Non pił poliziotti! Non pił spie! Non pił Azev! Non pił Gapone - il pope traditore, strangolato dalle mani rivoluzionarie in un momento di profondo disgusto.
      Kerenski si moltiplicava. In un attimo spariva. La flotta del Mar Nero era insorta. Egli vi si precipitava. La entusiasmava con un discorso, ne richiamava l'ammiraglio e poi via al fronte, a sostenere la guerra. I soldati che avevano gią sul registro due milioni di morti e quattro o cinque milioni di feriti si sentivano a disagio. Il grand'uomo perdeva terreno. Invece di abolire la coscrizione che aveva ammucchiato la gioventł per tanti anni nelle caserme, piegava alle esigenze della Intesa.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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