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      Si rivelano impotenti. Incomincia la loro decadenza. Kerenski toccato lo zenit non ha avuto che lente o rapide discese. Le sue orazioni non scaldavano più. Egli non era che un attore in fine di carriera. Fatto un discorso credeva di avere seminato delle idee. Errore. Egli non aveva sparso che parole altosonanti, che della eloquenza democratica, falsa, tinta di rosso. Invece di rinvigorire i cervelli li smascolinava. Il grand'uomo era perduto.
      Simpatico, bassotto, piuttosto scarno, con un leggero tremito alla bocca, segno del suo ticchio nervoso. Sulle guance sono le tracce dei patimenti dei tempi andati. Occhi luminosi o voluttuosi, oltraggiati dall'assenza dei peli cigliari. Le sue sopracciglie sembrano schizzi di penna caricaturale.
      Egli deve avere pianto sulla sterilità della sua oratoria.
      Al momento di abbandonare la sua sovranità non ha trovato un soldato che lo abbia ascoltato e si sia deciso a prendere il fucile per il fronte. Dietro lui non vi sono che discorsi. Ha abitato il Palazzo d'Inverno e il Palazzo di Zarkoie-Selo, come in un sogno fantastico. Invece del porcaio rasputiniano vi ha trovato la seduzione e il fascino. Queste soddisfazioni personali sono state considerate due atti degni di Masaniello. Non una legge, non un decreto si sono trovati al suo dorso per la rinnovazione del regime. Egli se ne andava dal luogo dove credeva di avere arroventati i cervelli, mentre i soldati russi fraternizzavano con i soldati tedeschi. Quale maledizione! L'esercito era disfatto.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





Palazzo Inverno Palazzo Zarkoie-Selo Masaniello