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      Essa era stata destinata alla fortezza di Pietro e Paolo con le sue grucce che le servivano a stare in piedi dopo il suo infortunio ferroviario.
      L'ex-sovrana una volta che aveva cessato di collaborare alla tirannia dell'impero per conto del marito, coadiuvata dalla nobiltà assassina, nobiltà che sfollava il regno con salassate spaventose, era divenuta triste. La sua faccia era sfigurata. Feodorovna non si occupava più che di leggere libercoli noiosi e religiosi. Nicola era divenuto più indifferente di lei. Non amava più che la famiglia. Era stanco di sommosse - stanco di essere alla testa di un impero di malcontenti e di riottosi e di congiurati contro la sua vita. Voleva la quiete. Gli bastavano la moglie e i figli. Il suo favorito era l'Alessio, al quale non avrebbe mai dato le tribolazioni del trono. Ah no! diceva stringendoselo al petto.
      Egli era molto riconoscente a Kerenski per le gentilezze. Non gli aveva dato nulla di eccessivo, ma non aveva permesso che a lui e ai suoi si facessero delle scortesie. Il Ministro avrebbe indubbiamente fatto di più senza la presenza del Soviet il quale insisteva perché l'ex Nicola II venisse messo in istato d'accusa. Lasciare uno Czar nel proprio Palazzo di regnante era una buaggine criminosa, dicevano i sovietisti. Gli si dava modo di far scomparire i documenti che lo avrebbero fatto impiccare. I membri del Soviet del maggio e del giugno 1917 avevano ragione di dubitare, della energia del ministro Kerenski. Che cosa faceva? I sovietisti erano pronti a spazzarlo via dalla piattaforma governativa con tutto il suo Governo provvisorio.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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