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      Indossava un costume kaki. La sua faccia era piuttosto giallastra, kaki anche essa; la sua testa tonda e calva era dello stesso colore. Come d'abitudine, egli si piegava con una leggera contorsione e pronunciava le parole di "dovere e di patria" con la voce calda dell'oratore consumato.
      - Voi - con la mano protesa verso i cosacchi - voi, da secoli siete schiavi. Ora siete dei cittadini liberi. Difendete dunque la libertà così caramente conquistata. Il nemico è sulla Dvina. Fra poco sarà qui, se voi continuerete la lotta fratricida. Kerenski fece un largo gesto con le due braccia e poi con la voce sempre commossa:
      - Sulle bare di queste vittime del dovere, giurate di rispettare le leggi..., di salvare la patria e la libertà.
      La gente ufficiosa e i cosacchi alzarono le mani e gridarono tutti assieme:
      - Lo giuriamo!
      Il corteo si è messo in moto. Fu lungo. Passarono due reggimenti di cosacchi in uniforme azzurra e rossa, spettacolo di colori e di disgusto.
     
      Ci si avvicina a Lenine.
     
      La fiacchezza del governo era estrema, anche con i ministri della coalizione. Il più importante era rimasto Kerenski, installato alla Morskaia, dove prima era il caffè di Parigi, il più elegante della capitale imperiale. Egli si trovava in lotta con i veri rivoluzionari i quali non volevano più udire parlare di guerra e di patriottismo. Il suo ordine del giorno all'esercito e alla flotta non era più dell'ambiente. Nessuno voleva più ascoltare nè di esigenze militari nè di disciplina militare. Egli aveva accordato al militare di appartenere a qualsiasi associazione politica, religiosa, operaia e di orare su qualunque piattaforma pubblica come un tavaric o camerata di tutti gli ambienti.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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