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      Si entra e si passa su un piccolo e oscuro corridoio a sinistra e si vede un edificio pure massiccio, di un piano, che dà l'impressione di una fortezza circondata da una palizzata di ferro lunga, umida, sudario di pietra degli avversari dell'assolutismo. Nome atroce nella storia russa. Le celle del piano terreno sono a una profondità di un metro o un metro e mezzo della Neva. Così trasudano e mietono i prigionieri insofferenti di umidori. Un'altra porta pesante e si incontrano le sentinelle e i carcerieri, con i loro berretti duri e neri. Lungo il corridoio a destra e a sinistra sono le 80 celle chiuse dai quadrati di ferro e dai catenacci enormi. L'occhio di bue tortura il prigioniero sepolto come in una bastiglia.
      Pietro Kropotkine, che ha avuto il fratello deportato e morto in Siberia, è stato in Pietro e Paolo: "Mi si condusse in una cella la cui pesante porta di ferro si chiuse su di me con suoni lugubri che risuonarono sotto le vôlte. Udii distintamente il fracasso dei catenacci e della chiave nella serratura. Rimasi solo nell'oscurità. L'alta finestra chiusa al difuori dalle spranghe di ferro, infisse in una muraglia di un spessore di cinque piedi. Non vedevo più che un quadrato di cielo. Capii che ero in uno dei bastioni della fortezza. La mia cella era dunque una casamatta antica. Vivevo in un silenzio di morte. All'ora del pasto mi si passava una pessima zuppa e un pezzo di pane nero. Vi rimasi due anni. Caddi ammalato. Passai in un Ospedale".
      Non la si finiva più con Kerenski.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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