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      Ivi essi avevano la possibilità di convincersi che nella capitale regnava ordine perfetto, e che questo ordine veniva mantenuto dalla guarnigione, da quella guarnigione, che, fino all'ultimo uomo, era tutta quanta per il Governo dei Soviets. La demoralizzazione fra i cosacchi prese forme tanto più acute, in quanto che apparve allora chiara ai loro occhi tutta l'insensatezza del loro proposito di prendere Pietrogrado con l'aiuto di poco più di 1000 uomini di cavalleria.... I rinforzi dal fronte, a loro promessi, non si fecero vedere.
      Le truppe di Krasnof si ritirarono a Gacina. Quando, all'indomani, ci recammo in quel luogo, lo Stato Maggiore di Krasnof era già stato fatto prigioniero dai suoi cosacchi. La nostra guarnigione di Gacina occupò tutte le posizioni importanti. I cosacchi, al contrario, sebbene non fossero stati disarmati, si trovavano in uno stato tale, da non essere in grado di opporre più altra resistenza. Una cosa sola desideravano: che li lasciassero ritornare, al più presto possibile, alle loro case, al Don, o almeno al fronte.
      Il palazzo di Gacina offriva uno spettacolo curioso. A tutti gli ingressi stavano corpi di guardia rinforzati. Alla porta principale artiglieria e automobili blindate. Nelle sale del palazzo, adorne di preziosi dipinti, erano marinai, soldati e militi della Guardia Rossa. Sulle tavole, fatte di materiale prezioso, stavano vestiti di soldati, pipe, scatole di sardine vuote. In una delle sale vi era lo Stato Maggiore del generale Krasnof. Per terra erano sparsi, qua e là, mantelli, berretti, materassi.


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La catastrofe degli czars
di Paolo Valera
Libreria Editrice Avanti Milano
1919 pagine 125

   





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