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      Il Parlamento si è trovato nella sorpresa. Il contratto era conchiuso. Avrebbe potuto e dovuto rifiutare il proprio assenso. Ma la vigliaccheria della maggioranza parlamentare d'allora, è nota. Non viveva che per i ministri. Lasciava fare. Si lasciava rimorchiare. Bastava parlare della patria per essere imbavagliata. Ha aiutato il ministero a saltare la discussione per salvarlo dalla tempesta che si sarebbe scatenata nel Paese.
      Nel re era l'autocratismo. Violava lo Statuto come violava il talamo. Egli è stato così figlio di suo padre che ha osato ordinare a tutto il gabinetto di un governo costituzionale di dare le dimissioni. Cosa inaudita. Cosa da rivoluzione. Il gabinetto era quello di Marco Minghetti.
      La nazione proletaria, che conservava anche in quei tempi il buon senso, non appena ha avuto sentore della Convenzione che escludeva Roma per sempre dal regno d'Italia, è scoppiata.
      Il participio è di Petruccelli Della Gattina. Alla Camera nacquero scene indiavolate. Hanno parlato Nicotera, Crispi, Buoncompagni, Ricciardi, Bottero, Massari, Sella e tanti altri.
      Il più violento è stato Crispi. Egli si è servito dell'invettiva di Massimo d'Azeglio.
      - Voi siete i figli della paura. Con la traslazione del Parlamento a Firenze, voi rinunciate - diceva - a Roma, capitale d'Italia.
      Giuseppe Ferrari, federalista, era contento di Firenze per non vedere due Corti, l'una accanto all'altra allo stesso sportello del tesoro a riscuotere la lista civile.
      Petruccelli Della Gattina, coi suoi paradossi, non vedeva nel papa che il rappresentante di una aristocrazia di sagrestia.


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Il cinquantenario
Note per la ricostruzione della vita pubblica italiana
di Paolo Valera
Casa Editrice Sociale Milano
1945 pagine 97

   





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