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      ), conosco i miei doveri. Saprò conservare integra la dignità della Corona e del Parlamento, ecc.".
      L'Isola di Sicilia, secondo il solito sistema italiano, è stata subito posta in istato d'assedio. Garibaldi non ha perduta la sua fede. Egli ha dichiarato in un momento in cui lui e i suoi non erano più che ribelli, che egli era con Vittorio Emanuele. "Noi siamo col Re e noi siamo tutti col Re a fare l'Italia". Egli associava la monarchia con la rivoluzione.
      Il piano dei palermitani era di ammucchiare sui piroscafi i garibaldini e farli filare senza un minuto di indugio e non fermarsi che su qualche spiaggia vicina a Roma. Ma il generale ha preferito la Calabria.
      Egli si è avviato coi suoi, dopo aver udito il Te Deum in una chiesa. Questa contraddizione è spiegata da queste parole del Guerzoni: "A compiere la tragicommedia degli equivoci, non mancava più che preti cattolici in chiesa cattolica, benedicessero a Dio per la caduta del potere temporale".
      Il concentramento delle camicie rosse è avvenuto nel bosco della Ficuzza, a, poche miglia dalla capitale dell'isola. Il suo ordine del giorno conteneva queste parole "Fatiche, disagi, pericoli sono le solite mie promesse: e quelle promesse che spaventerebbero anime deboli e mercenarie, sono uno stimolo, io lo so, per i coraggiosi uomini che mi accompagnano". E via con la bandiera "Italia e Vittorio Emanuele, o Roma o morte".
      Io non ho spazio che per il riassunto. Le forze garibaldine da Catania, sono sbarcate a Melito, in Calabria. Per evitare i dodici battaglioni di fanteria e di bersaglieri regi, Garibaldi ha spinto i suoi fino ad Aspromonte.


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Il cinquantenario
Note per la ricostruzione della vita pubblica italiana
di Paolo Valera
Casa Editrice Sociale Milano
1945 pagine 97

   





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