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      Non è quello che si è sofferto noiquello che più mi pesa, ma quello
      che si è fatto soffrire agli altri.
     
      FEDERICO CONFALONIERI.
     
     
     
      ALLAMIA BUONA MARIA
     
     
     
      L'inverniciatore descrive il camerotto di S. Fedele.
     
      Ho sempre avuto la fortuna di trovare sul cammino della vita dei simpatizzatori o delle persone che mi volevano bene prima di conoscermi. Al Cellulare, nello stanzone di "carico e scarico", mi si registrava e mi si salutava come un personaggio di casa. Mi si ricordavano episodii della mia vita cui io avevo completamente dimenticati. Come quello di essere stato alloggiato in una cella come scrittore scollacciato o come un égoutier della penna.
      Tra gli impiegati che volevano assolutamente essermi utili, era un giovinetto alto, elegante, con una bella faccia illustrata dai baffi superbi e chiari e illuminata dalla lucentezza degli occhioni neri in campo azzurro. L'unghia lunga del mignolo e la cravatta di foulard a palloncini gialli sul fondo solferino pallido, e i manichini che gli uscivano candidi dalle maniche, gli davano l'aria di gran signore.
      - Se le occorre qualche cosa non mi dimentichi.
      Lo ringraziai con la voce turbata dalla gentilezza. Era una consolazione trovare chi non aveva paura di stendervi la mano nelle giornate di Bava Beccaris. Prima dell'arresto passavo per le vie come un fantasma che faceva germogliare in coloro che mi conoscevano un'interrogazione:
      - Come, non è ancora stato arrestato?
      Gli intimi sgusciavano via come ombre. Era in tutti lo spavento di compromettersi. Se l'imprudenza mi faceva fermare qualche amico, l'amico diventava smorto e mi diceva, con l'orologio in mano, che doveva correre in qualche luogo.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899, pagine 316

   





S. Fedele Cellulare Bava Beccaris