Pagina (3/316)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Hanno sei o sette sacconi di paglia in terra, la secchia dell'acqua e il bugliolo delle evacuazioni nell'angolo. Nei giorni di Bava Beccaris erano affollate di "rivoluzionarii".
      Non ci volle molto a capire che i miei cinque compagni erano degli idioti che nessuno sarebbe mai riuscito a intellettualizzare. Erano stati sorpresi dal ciclone militare, ma tre di loro non sapevano neppure il significato della parola rivoluzione. Il quarto era un giovanotto mingherlino che faceva il tintore in una fabbrica a qualche miglia dalla ripa di porta Ticinese, e che nella giornata di sabato era andato con degli altri a bere nelle osterie senza pagare e a domandare dei prestiti a dei fittabili senza l'intenzione di restituirli.
      - Credevate di fare la rivoluzione?
      - Sì, mi disse egli chiudendo le dita a ventaglio. Facevamo della rivoluzione! Non creda però che si sia fatto denaro. Finita l'escursione, avevamo bevuto mezzo litro di vino e ci saremo spartiti una e cinquanta a testa.
      Il quinto era un ex-cameriere che si occupava più della sua pipa e del suo ventre che degli avvenimenti che lo avevano mandato in prigione. Era uno sboccaccione che mi fece sentire più di ogni altro la ripugnanza per la coabitazione forzata. Egli non aveva riguardi. Si scaricava delle ventosità nel modo più indecente.
      Il più buono dei tre era un inverniciatore che passeggiava dalla mattina alla sera coi tacchi ferrati come i piedi dei cavalli, zufolando, o dando in ismanie per essere stato arrestato senza colpa alcuna.
      - Si figuri che io non ho saputo della morte di Vittorio Emanuele che ieri; questo per dirle che non ho nulla di comune con l'uomo politico.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Bava Beccaris Ticinese Vittorio Emanuele