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      Il fumo purgava il camerotto che alle volte puzzava come una latrina. Verso le dieci o le undici ore eravamo stufi, stufi, pių che stufi. Non si sapeva niente, nč se ci si lasciava andare, nč se ci si mandava in qualche luogo.
      Il caldo era diventato eccessivo. Si sgocciolava. Finalmente si aperse un'altra volta l'uscione e ci si fece uscire a due a due. Fuori dell'uscita c'erano dei signori in borghese che a certi individui lasciavano andare degli scapaccioni. Probabilmente li conoscevano. A me non si č fatto nulla. Chi male non fa, paura non ha. Mi si fece salire in un carrozzone e mi si condusse qui al Cellulare. Nel carrozzone credevo proprio di lasciarvi la pelle. Nella mia celletta eravamo in tre. Ci mancava il respiro. Provai una grande contentezza quando mi trovai nel cortile del Cellulare.
      Me l'ho scampata bella. Dio non c'č per niente.
     
     
     
      Il soccorso.
     
      Č una scena piangevole che potete vedere ogni mercoledė e ogni domenica, tra le dieci e la una, sulla piazzetta Filangeri, dinanzi l'edificio della sventura sociale. Ma in un giorno o nell'altro non troverete mai la folla delle giornate di Bava Beccaris, quando ciascun cittadino aveva paura di non essere pių cittadino e ogni donna poteva essere disgiunta dall'uomo da un ordine imperativo o da una mano brutale.
      La mia pagina č una fotografia senza ritocchi di una di queste domeniche.
      L'orologio di un campanile suonava le otto e il sole bruciava le cervella. Sul piazzale si vedevano alcune carriole cariche di frutta acerbe o sfatte, di dolci perseguitati dalle mosche e di cose mangerecce coperte di polvere.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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