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      Le finestre diventano quelle di un edificio disabitato. Non si sente più un'anima. I detenuti sono all'uscio ad aspettare che si apra l'usciuolo con la parola che li invade di piacere: "Pane"! Il distributore che è uno scopino la ripete a ogni pagnotta che passa per il buco. Lo ricevo anch'io, ma lo passo, colombando, al delinquente vicino alla mia cella che ha sempre fame. È un ragazzo di diciassette anni, scolorato come un onanista, e già recidivo. L'ultimo furto lo ha consumato nello studio del capomastro suo padrone. Egli si aspetta il dibattimento di giorno in giorno.
      La vita carceraria è fatta per imbestiare le persone più buone e più altamente educate. Dall'oggi all'indomani si passa dal finimento da tavola alla scodella di terraglia del cane dell'accattone orbo. Non c'è più biancheria, non ci sono più posate, non ci sono più cristalli, non ci sono più tondi, più tondini, più fruttiere, più portampolle, più insalatiere, più portastecchi. Non c'è più che il maiale con un pezzaccio di legno scavato malamente in fondo.
      Come, o signori, ma io sono un inquisito, sono una persona che deve essere creduta innocente fino all'ultima parola della Cassazione, e voi mi punite mettendomi in mano uno scopino disfatto e laido perchè mi scopi la cella, e voi mi obbligate, con le mie mani abituate ai guanti, a portare fuori e dentro la mia tana il vasone da notte come un latrinaio qualunque! No, accidenti, no, mi ribello! capite, mi ribello! Voi non siete autorizzati a punirmi. Voi dovete rispettare in me il cittadino anche se fossi uno squartadonne.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Cassazione