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      Il cappellano non c'è più. Me ne ricordo adesso. Egli è stato vittima non so se dell'autorità carceraria o militare. Peccato, era così buono. Ecco che si risveglia, santo cielo. Dormi, dormi, perchè morirai a piangere in questo modo.
      - Oh mamma! mamma! oh la mia mamma!
      Carnefici, non capite che vuole la mamma? Lasciatelo andare a casa, lasciatelo! Siate buoni, sono io che vi prego.
      Che cosa volete che abbia fatto un fanciullo di pochi anni? Bisogna avere le viscere di ferro per resistere alle sue grida, che vanno al cuore come tante pugnalate! Potessi aiutarti, ma sono chiuso, ermeticamente chiuso in un buco. C'è nessuno che senta, che si commuova? E andai all'uscio e premetti il campanello, e feci cadere la banderuola.
      - Che volete?
      - Sentite come piange quel ragazzo!
      - Badate ai fatti vostri!
      - La "pulce" è una visita improvvisa. È avvenuta a me nelle carceri di Bologna. A Bologna nessuno entra nella cella. Chi fa la pulizia sono i detenuti incaricati dei servigi domestici. Il coperchio del bugliolo bacia bene e questo vasone da notte rimane chiuso in un buco che ha l'apertura anche lungo il corridoio esterno. Lo scopino lo porta via e ve lo rimette senza annoiare i detenuti nella stanza. Acqua, vino, cibi vengono serviti dal buco dello sportellino.
      Eravamo in quattro. Si fumava. Io penso adesso, quando la Cassazione mi farà indossare la casacca del recluso, come potrò vivere senza fumare. Fumo più di quaranta sigarette al giorno.
      Una volta ne fumavo cento. Eravamo dunque in quattro.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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