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      Fortuna che non fa troppo caldo. L'ultimo pesce grosso che registrai fu don Davide Albertario. È alto, dalle forme erculee. Venne da San Fedele con una comitiva di venti individui della peggior specie. Quasi tutti recidivi. Per impedire agli screanzati di dirgli qualche insolenza, il direttore lo manda al passeggio solo. Mangia bene e riceve il pranzo e la colazione da una trattoria esterna. Fuma anche lui come un turco. Dopo alcuni giorni gli concessero, come ai deputati e ai giornalisti, carta, penna e calamaio. Scrive tutto il giorno ed è sempre in nota per della carta. Deve essere un grafomane.
      Domenica si sarà accorto che diceva messa un'altra voce. Il cappellano Enrico Villa è stato sospeso e non può più mettere piede nel carcere. Al suo posto officiava un frate. Lei sa che io sono religioso e può darsi che pecchi d'indulgenza. Ma credo che sia impossibile trovare un cappellano come don Enrico. Era un sacerdote che adempiva al suo ministero con entusiasmo. Lo si vedeva andare e venire come il moto perpetuo. Appena uno era in cella, andava a trovarlo, a consolarlo, a incoraggiarlo. Non lasciava mai alcuno senza libri e diceva a tutti parole che aiutavano a tirare innanzi la vitaccia del cellularizzato.
      Il nuovo direttore è tra noi come un flagello. Non dissimula. È una sovrapotenza assoluta, arricchita dalla funzione di punire. È in lui come una spaventevole rettitudine. Respira il dolore degli altri come una donna virtuosa la spiritualità dell'incenso.
      La sua vanteria è di essere il direttore che ha fatto mangiare, come si esprime lui, più cella di rigore ai detenuti di tutti i direttori d'Italia.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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