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      Di me non ho compassione. Se mi risovvengo dei miei trascorsi gli è per punirmi con una serqua di vituperi. Con gli altri, sono indulgente. Trovo in ogni loro delitto una scusa.
      Nell'Herra non c'è nulla del Roberto Macaire. Non ne ha nè l'astuzia, nè l'inquietudine, nè l'audacia. È in cella come un rassegnato. Egli è caduto come una ragazza che si lascia abbracciare con un bacio lungo. - Lo aspettiamo alla matricola. Il direttore gli ha promesso un posto di scrivanello.
      Il Luraghi mi desta una compassione indicibile. Tutte le volte che posso andare nella cella mi sento riempire gli occhi. Non mi parla mai dei suoi patimenti. Non mi parla che della sua mamma. Egli la piange come uno sciagurato che dispera. Mi diceva l'altro giorno che la sua povera vecchia di ottant'anni è il suo grande tormento. Ha paura di non poterla più vedere. Perdere i denari, perdere una fortuna nelle speculazioni bancarie è una cosa che si può anche sopportare. Ma perdere la mamma che si adora, in prigione, è superiore alle forze del condannato. Io spero che questo terribile dolore gli sarà risparmiato.
      La sua vita è triste. Non spende per il vitto che una media di due lire il giorno. Non va mai al passeggio. Gli ho detto più di una volta che fa male. Che il moto è una necessità dell'esistenza carceraria. Ma non sono riuscito a smuoverlo. È testardo, è nemico della propria salute. Un giorno o l'altro lo porteranno in infermeria perchè non potrà più andarvi con le sue gambe. Fuma e legge avidamente. Il suo disgusto è per i battitori e per le mani dei secondini che lo palpeggiano.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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