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      Al lato opposto della porticina d'entrata del portico, è la muraglia con le finestruole a mezzaluna e a doppia inferriata, dietro la quale è una filata di cubicoli.
      Quante volte, durante la passeggiata, abbiamo sentito gli inquilini dei cubicoli prorompere in pianti dirotti!
      Nella muraglia che taglia il cortile, è un pozzo chiazzato di verde.
      Le due diane dipinte sul muro sono gli orologi solari dei reclusi. L'una segna il corso del sole dalle 7 del mattino a mezzogiorno, ed ha per epigrafe: Sic mea vita fugit! Una condanna atroce, dicevamo al passeggio, per i poveri prigionieri che portano tanti problemi nella testa, e sono costretti a sciupare il tempo con le mani in mano! L'altra, adorna dei segni dello zodiaco, si accontenta di avvisare i galeotti al passeggio che senza sole non serve a niente: Sine sole, sileo.
      Le dita della destra battute sul palmo della mano sinistra di un sottocapo ci avvertirono che la nostra ora d'aria era terminata.
     
     
     
      Nella quinta camerata.
     
      Nella quinta camerata entrammo il 27 giugno 1898. È al primo piano. Vi si sale curvando la testa nel buco di un enorme cancello di ferro, la cui porticina è aperta e chiusa a chiave a ogni passaggio di forzati e di reclusi da un cerbero negli abiti di guardia carceraria. Col piede nell'antiporto che mette nell'intimità dell'edificio, subite la sensazione che state per essere perduti nella vasta tomba del reclusorio. Al margine di tanti stanzoni affollati di numeri di matricola, non sentite alito di vita. Vi sembra di essere nell'androne di un convento spopolato.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Sic Sine