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      Direttore di un reclusorio, egli voleva che imperasse il silenzio assoluto. Il guaio era che gli inquilini di questo bagno penale - come lo si chiamava mava prima - erano misti: cioè erano reclusi e forzati.
      I primi, col nuovo codice, devono scontare la condanna senza parlare; i secondi, col codice vecchio, possono conversare sottovoce tra loro.
      Il reclusorio poi deve essere a celle. E nel reclusorio di Finalborgo non ci sono che cubicoli, banchi di rigore e celle di punizione in Torretta. Nei lavorerii in comune avveniva, per esempio, che i reclusi dovevano tacere e i forzati potevano scambiarsi delle parole sottovoce.
      Il direttore, per impedire che si mancasse di rispetto al regolamento, fece affiggere un ordine del giorno il quale ingiungeva di farla finita col chiasso. Forzati e reclusi lo stracciarono. Il direttore incominciò allora con le punizioni e i reclusi e i forzati si misero a gridare e a urlare che gli avrebbero fatto un fuori! fuori!
      La sera prima, i più eccitati si erano scambiati degli abbracci e salutati con dei baci, dicendosi l'un l'altro: chi sa quando ci rivedremo!
      Il giorno dopo si trovarono - come dicevano loro - decimati. In ogni camerata ne mancavano venticinque. Dove erano andati? Erano stati mandati via o erano in punizione?
      La questione del malcontento generale non era mica limitata al "silenzio". I reclusi si lamentavano anche per altre cose. Essi dicevano, per esempio, che era antiumano e contrario all'igiene affollare i tavolati delle camerate di ottanta pagliericci.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Finalborgo Torretta