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      Nel bagno di Castellaccio, per esempio - diceva il mio informatore che aveva passata la gioventù in parecchi bagni - le "tagliatine di faccia" erano avvenimenti quotidiani.
      Mi pregava però di credere che coloro che si "abbandonavano a questi brutti scherzi" erano tutti "avanzi di galera".
      - E voi credete che queste esplosioni di collera malvagia elevino gli autori di qualche gradino sugli altri?
      - Senza dubbio. Sarà qualche volta anche per paura. Ma è certo che questi misfatti, se non hanno, s'intende, la disapprovazione della maggioranza e dei cosidetti capi di società, costituiscono, più che un merito, una prodezza che dà dell'influenza in mezzo ai compagni.
      Ve ne posso dare la prova, rimanendo qui dove siamo. Voi sapete che in questo reclusorio, due anni sono, la moltitudine dei condannati era composta di napoletani e di siciliani. Per una ragione o per l'altra erano nati, tra loro, odii implacabili. Una popolazione aveva giurato di estinguere l'altra. Mancavano loro le armi. Ma c'era un fabbro. E questo fabbro calabrese, che li armò tutti di uno spuntone micidiale, entrò nella testa dei galeotti come un dio. Non c'era più che lui. Lo si venerava e coloro che potevano gli baciavano la mano con la quale aveva fabbricato gli strumenti da sventrarsi l'un l'altro.
      - Avvenne poi lo scontro?
      - Sono stati armati sette mesi, aspettando tutti i giorni un'occhiata, o un gesto, o una parola per rovesciarsi, napoletani contro siciliani. Ma i capi di società che avevano dato ordine di guardarsi bene dal provocare qualcuno della parte nemica, evitarono il disastro di un conflitto inaudito rimandandolo di settimana in settimana.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Castellaccio