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      Contraggono un'abitudine indimenticabile. Adesso che sono disgiunti e che è a loro disposizione un terreno venti volte più lungo e più largo della cella, consumano l'ora di passeggio come prima, gomito contro gomito, con un movimento di tre o quattro passi avanti e indietro, voltandosi come quando erano appaiati, cioè senza urtarsi e senza spostarsi.
      I tipi di forzati, che abbiamo conosciuto più da vicino e che possiamo presentare al pubblico come nostri amici, erano i "mozzi" o coloro che adempivano alle funzioni domestiche. Il 129 era il latrinaio - un galeotto che riassumeva il suo delitto come un grande artista. Si passava la mano sulla fronte e lo paragonava a "un temporale", a "una notte buia", a "una tempesta". Fu l'uragano dei sensi che gli fece recidere la gola alla padrona ch'egli serviva come cocchiere a Ferrara. Egli la voleva o viva o morta. E se la baciò durante il "temporale" tepida ancora di vita, con gli occhi spalancati che pareva una strega. Egli è ormai tranquillo e non pensa più, come gli altri, a rientrare nel mondo dal quale venne scacciato. Per lui, "stare qui o altrove, è lo stesso. In qualche luogo, mi diceva, bisogna stare".
      Veduto da vicino, con gli occhi nelle buche della sua faccia massiccia e larga, si prova la repulsione di chi si sente a tu per tu con un sanguinario. Dalle sue linee facciali sbuca il violento, ghiotto dell'altro sesso. Ha delle occhiate diaboliche, lambite dalle rughettine che infittiscono e si gonfiano quando spalanca la bocca per la risata che pare uno scroscio.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Ferrara