Pagina (167/316)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      È come se il sangue non fosse stato versato dalla mano che scrive. Prima, no. Prima, la tragedia mi metteva sottosopra.
      Non potevo rivedere il cadavere che mi ha galeottizzato, senza rinfuriare col coltello sulle carni insudiciate dalla concupiscenza dell'uomo che si ubbriacava tra le sue braccia. Esagitato, come chi non vede che la colpa dell'altro, giuravo, con la bocca piena di fiele, che non le avrei mai perdonato. Adesso, non ho più rancori. Ciascuno di noi ha avuto il suo. Ella è stata ricacciata nell'eternità in un momento tragico, calda ancora dei baci del suo drudo - io sono stato condannato alla morte lenta, attraverso i supplizi della casa di pena. Lui? L'ho lasciato fuggire. Con le mani imbrattate di sangue, sentivo i suoi passi che correvano verso Serralunga, al di là di un fosso asciutto, senza punto pensare a rincorrerlo. Sono stato vile. Dovevo ammazzare anche lui. Anche lui doveva scontare la tresca con la vita. Non vi pare? Chi s'allaccia alla donna di un altro e fuori della legge, è un nemico della legge. A che gioverebbe, dite, il matrimonio, se non proteggesse i coniugi e non li obbligasse ad essersi fedeli a vicenda? Dovevo sgozzarlo come si sgozzano le galline dopo aver loro torto il collo, dovevo, allora. È l'unico sentimento di vendetta che sia rimasto in me più a lungo d'ogni altro. Autore di tutto, rimpiangevo di non averlo trascinato a partecipare della scena finale. Adesso? Adesso, potrei sedere sulla stessa panca senza trasalire. L'amante è come se fosse morto.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Serralunga