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      Finalmente, venne l'ordine della mia destinazione. Il ministro dell'interno aveva scelto per me il bagno penale di Genova. Non si sa ancora perchè il delinquente viene mandato a scontare la pena quasi sempre agli antipodi dal luogo del delitto. La nostra catena era composta di otto a vita e di tredici a tempo. Parecchi indossavano il costume del galeotto e parecchi, come me, l'abito, diremo così, borghese. Non ricordo il nome della nave. Ma sarà difficile che io dimentichi il viaggio di mare che mi ha convulsionato tutto l'organismo e mi ha fatto patire le pene dell'inferno. Il tavolato della camera di sicurezza, paragonato alla stiva, mi diventava un letto di bambagia. Con l'odore di catrame, si aspirava un'afa che sentiva di latrina. Pigiati come eravamo, mi pareva di essere in un affogatoio. I carabinieri non furono certamente umani.
      Ammanettati, ci legarono a due a due al braccio e ci incatenarono tutti assieme. L'uno non poteva muoversi senza tutti gli altri. Stivati peggio che i conigli in una conigliera, non vedevamo che le onde del mare che venivano a frangersi sui vetri dei buchi rotondi. Qualche volta la nave ballonzolava, piegava come se avesse voluto rovesciarsi sulle acque agitate e qualche altra saliva rapidamente alla superficie per affondare di nuovo nei flutti che tentavano di inghiottirla. Alcuni dei miei compagni si erano già vuotati lo stomaco, non potendo frenare gli impeti del vomito. Io ne sentivo gli urti, ma tenevo duro. Parecchi di noi avevano le labbra paonazze e le orecchie orlate del rosso smorto dei febbricitanti.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Genova