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      I fichi secchi ho dovuto gettarli nelle immondizie che raccogliamo nell'angolo. Li aprivo, e uscivano i bachi. Don Davide, mi fece dimenticare i fichi con un motto latino. Sursum corda. Sit gressus ad superiora; melius est ascendere. In alto i cuori. Volgiamo i passi alle regioni superiori; è miglior cosa salire.
      Siamo fortunati che non c'è specchio. Ci spaventeremmo. Sento che la pelle della faccia mi stiracchia da tutte le parti.
      Ho dovuto comperarmi due centesimi di refe per trasportarmi il bottone dei calzoni. Senza bretelle, li perdo. Sono diventato magro, magro. Ho i miei dubbi che si esca tutti. Ho sempre avuto schifo dei sorci. Ma se ce ne fosse uno abbrustolito lo mangerei con l'appetito dei parigini durante l'assedio della loro capitale. È strano che non ci siano topi in questo vecchio edificio. Noi non ne abbiamo mai veduto uno. Ci sono parecchi gatti. Ma rimangono tutti nel cortile e sono sotto la protezione di una guardia alta, addetta alle celle di rigore. Un gatticidio potrebbe costarmi parecchi mesi di cella di rigore e di camicia di forza.
      La ciarla si è ammorzata. Non parliamo più tanto. Una lettera suscitava, settimane sono, una discussione che durava delle ore. Adesso la si legge e la si lega con le altre. Sembriamo tanti nevrastenici. La nostra conversazione è diventata monosillabica. Ci guardiamo difficilmente in faccia.
      Ho comunicato a Federici i miei timori. Ho paura di uscire idiota. Ci sono dei momenti in cui sono obbligato a mettermi la mano sulla testa per paura che mi scappi il pensiero.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Davide Federici