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      Egli è entrato ed è uscito un tenace cooperatore.
     
     
     
      Io e Federici ritorniamo a Finalborgo.
     
      La "catena" era composta di noi due. Il vagone cellulare era nuovo e non puzzava di biacca. Le celle erano assai più comode delle altre del primo viaggio. I carabinieri non sembravano cattivi diavoli. I ferri erano noiosi, ma non ci pigiavano i polsi come le altre volte. Chiusi nelle due celle in fondo, l'una in faccia all'altra, vicini alla finestra del vagone, non mancavamo di qualche boccata d'aria.
      Ricordandomi dei due viaggi, mi dicevo contento.
      - Almeno qui, non si crepa. Mi misi in bocca una sigaretta con un po' di fatica e con un po' di fatica riuscii ad accendermi Io zolfanello.
      Federici attraversava la tempesta. Era tetro, non diceva nulla e non rispondeva alle mie interrogazioni, che volevano distrarlo, se non con dei monosillabi che non invitavano alla conversazione. Forse si sentiva umiliato a rifare la strada che conduceva a un reclusorio dal quale era uscito con tanto piacere, dove erano persone che non amava rivedere o persone con le quali non avrebbe scambiato una parola, gli fosse costata la lingua.
      Verso Sampierdarena i lineamenti facciali di Federici assunsero una parvenza di dolcezza. L'uomo stava per convincersi che era inutile lottare contro l'invisibile. Eravamo nelle mani di sconosciuti che ci sbalestravano da una parte e dall'altra e bisognava adattarsi. Anche a me sarebbe piaciuto andare in un altro reclusorio, dove avrei potuto raccogliere del materiale nuovo, dove avrei potuto fare la vera vita del galeotto con dei galeotti autentici, dove avrei potuto studiare tipi che nella quinta camerata non avrei mai trovato.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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