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      Ma pazienza, ormai mi hanno abituato a fare la volontą degli altri.
      A Sampierdarena il nostro vagone venne staccato e lasciato fuori dalla tettoia. C'era un intervallo di due ore e mezza. Era un'altra punizione che avremmo scontata se i carabinieri non avessero avuto fame. Avevano appetito, volevano mangiare col sedere sulla scranna, e dare anche a noi il modo di far colazione pił comodamente che ammanettati nella cella. Ci domandarono se volevamo cavarcela con qualche cosa di asciutto in cella o se preferivamo di andare alla sezione dei carabinieri con loro. Io non esitai un minuto a votare per l'uscita. L'idea di muovermi e di respirare l'aria libera mi metteva gli aghi nelle gambe.
      L'indugio di un attimo mi diventava un supplizio. Mi faceva salire le fiamme alla faccia e mi dava l'impressione che soffocavo. Federici era riluttante. Lui e Romussi, nel viaggio di traduzione, avevano imparato che per le strade, di giorno, si attira l'attenzione di tutti i passanti. Vinse l'aria libera. Uscimmo e fummo contenti. La gente sostava sulle botteghe, i ragazzi ci correvano dietro, i passanti si fermavano a vederci, alcuni commentavano, ma noi passavamo senza darcene pensiero. Ormai ci avevamo fatto il callo. - Chi ci conosce ci conosce e chi non ci conosce felice notte.
      Giunti alla sede dei carabinieri ci si chiuse in uno stambugio buio pił di una cantina, esalante la mefite. Incominciavamo a dolerci di non essere rimasti in gabbia.
      - Piuttosto che mangiare in questo luogo, preferisco la fame.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Sampierdarena Romussi