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      Tutte le classi - ad eccezione di quella "superiore" - vedevano in esso l'emancipazione economica, il benessere generale, l'abolizione di tutte le tasse e di tutti i privilegi, il governo del popolo pel popolo, la libertà di parola e di riunione, la prosperità nazionale. Il vogliamo di tutti era "il bill, tutto il bill, null'altro che il bill".
      Il disegno di legge - come venne poi votato - aboliva 142 collegi, dirò così, personali, cioè dei lords e dei grandi landlords, aumentava i rappresentanti della nazione a 65 contee e conferiva il diritto di farsi rappresentare alla Camera dei Comuni a Manchester, a Leeds, a Birmingham - città manifatturiere come queste non eleggevano ancora deputati! - e ad altre 39 città fiorenti e popolose senza rappresentanti.
      Questo bill che a noi, dopo 62 anni, sembra un'inezia legislativa, andava oltre le speranze perfino di Enrico Hunt - colui che aveva scontata la pena di due anni e mezzo, cogli applausi e i bene! di Wellington nella Camera dei lords, per aver presieduto il meetings massacrato sul campo di Peterloo. "Quantunque non vi sia nulla che non sapessi da 20 anni, il bill va oltre le mie aspettative. Tutto ciò che si disse in questa Camera, su questo bill, è stato detto per 20 anni dai tessitori del Lancashire." L'Hume, il leader della frazione "radicale moderata", disse, come l'Hunt, che superava le sue aspettative. O' Connell si sentì come placato. Lo chiamò uno schema grandioso, liberale, saggio e anche generoso.
      Il bill trattava male l'Irlanda, ma via! non voleva cavillare dinanzi una grande riforma.


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L'insurrezione chartista in Inghilterra
di Paolo Valera
Uffici della Critica Sociale Milano
1895 pagine 125

   





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